Tema Karmico
I “Crocifisso ad un bivio montano” (Estate 1940)
Spesso la scelta del tema della visione artistica procede dal subconscio, ed è profetica e insieme catartica. Me ne resi conto, ritrovando un quadretto dipinto in Alto Adige. Interpretava un inquadratura frequente in quei paesaggi montani: “il Crocifisso in legno al bivio fra due sentieri”.
La composizione mi aveva colpito d’un tratto, mentre, con la cassetta dei colori in spalla, salivo il pendio: un segnale interiore, un “clic” come quando la macchina fotografica ferma sulla pellicola l’immagine.
Prima di collocarmi con la mia attrezzatura lì a dipingere, vagai un poco più in qua, un po’ più il là, perché il paesaggio era particolarmente bello, ma dovetti constatare che la scelta del punto di vista era avvenuta in quel misterioso istante. Il tema simbolico, linguaggio occulto del destino, non si rivelò allora alla mia coscienza.
Furono i valori formali a destare l’interesse estetico: la proporzione delle superfici, i toni dei colori. La triangolazione tra la verticale del legno e le diagonali dei sentieri, nei loro particolari ritmi contrastanti, determinarono la scelta.
Con i miei modesti mezzi ritrassi quel “Crocifisso al bivio” entro un paesaggio montano, ancora tutto lieto di sole!
II “Via Crucis” (Estate 1943)
Tra i monti dell’Appennino nell’estate del 1943, a Tagliacozzo, anche dal subconscio, venne la scelta del tema: “Via Crucis”.
Anche allora il pensiero cosciente non si fermò sul soggetto, né ne percepì il valore simbolico.
La brulla montagna sullo sfondo dei monti, che si profilavano cupi all’orizzonte rispondeva nei toni alla mestizia dell’anima: “Via Crucis” , via del dolore accettato.
Se avessi avuto la preparazione spirituale per
leggere quel “segno” nel mio cammino avrei
saputo superare ben altrimenti la tentazione, che mi attanagliava in quei giorni e che le passeggiate solitarie e la vista di orridi dirupi alimentavano.
L’immagine che allora realizzai nel mio piccolo quadro esprimeva una tristezza profonda; essa tuttavia agì catartica per l’intima dolce e rasserenante gioia che sa darmi ogni volta di nuovo la creazione artistica.
III Crocifisso (1955)
Ogni figlio che nasce è una creatura destinata un giorno a morire.
La madre che stringe al seno il bambino, vuole proteggerlo da quanto può arrecargli sofferenza; ma nell’amore materno è sotteso l’inconscio sentimento di proteggere il figlio dell’ineluttabile destino di morte che lo attende.
Ella gli ha dato la vita, ella non può sottrarlo all’altra vicenda, che concluderà quella vita stessa. Nella composizione pittorica le due realtà – nascita e morte – sono intrecciate nei segni – quasi simboli – delle incognite matematiche: X e Y. Dato X, quale sarà l’Y?
Fra le incognite si muovono le possibilità del libero arbitrio, si articolano le vie del destino. La madre può solo vigilare alle premesse, il suo amore dovrà lasciare libertà alla soluzione.
“Le due incognite: nascita e morte”.
Per chi vede proiettata nella realtà spirituale la triade temporale qui raffigurata, la madre si rivela veicolo tra le “due porte”. La “nascita”, momento di immersione nella esperienza terrena, la “morte”, via di ritorno alla sfera celeste. In questa visione, la madre, natura generante, è anche l’“anima” che custodisce il percorso dello spirito, dell’ “Io”.
Nel gesto tragico dell’Y si conclude, e nella sofferenza si sublima, la forma umana; ma al di sopra del capo del morente, nuova luce circonda l’evento che ripete il mistero dell’amore che accomuna la testina del Bimbo al volto della Madre.
“Madre e figlio”
IV La “Visione delle Stimmate” (1958)
A La Verna, con le meditazioni sui “Fioretti”, nella pace del verde dei prati e l’ombra dei boschi, nella musicalità lieve delle fronde scosse dal vento ed il cinguettio alternantesi degli uccelletti, è nato il lavoro sul ciclo giottesco di Assisi e l’interesse per le vicende del primo centenario di vita del movimento francescano. I tocchi armoniosi delle campane dell’Eremo rompono il silenzio, l’atmosfera vive della preghiera dei frati e la devozione popolare vi attinge forze di fede.
A La Verna sono nate anche le prime pitture ispirate a quelle meditazioni e studi; esse però sono andate perdute.
Nulla è rimasto del paesaggio con la veduta dell’Eremo, esposto a Bagnoregio nel 1958. Ma la composizione che avevo realizzato nel recinto del “Letto di S. Francesco” solo apparentemente è andata perduta.
Entro lo squarcio montano, tra i sassi di rocca precipitati a valle, gli aceri, con i loro fusti cilindrici, da secoli si ergono in cerca del sole e della sua luce. Nelle ore tarde del mattino il sole fa piovere raggi che illuminano gli spalti pietrosi; le verdi fronde, vibrando, scintillano fin giù nell’antro profondo.
Sono salita al santuario dalla Beccia, per l’antica mulattiera. Sulla schiena, a mo’ di zaino, portavo la cassetta dei colori. Pensavo all’umile francescano che, lontano nei secoli, saliva quel viottolo sassoso a raggiungere i luoghi sacri, ricordo del Santo, a cui si era votato.
Mi sentivo spiritualmente unita nella fatica di quell’ascesa.
Dai frati mi fu permesso di organizzare il mio cavalletto nel piccolo spiazzo entro il recinto del luogo sacro. Ma non mi riuscì di portare a termine il lavoro, che avevo impostato secondo una composizione geometrica a triangolo, che precipitava in un vortice misterioso di ombre e di luci. Le nuvole sopraggiunte offuscarono il cielo, l’ambiente si oscurò; inesorabile sopraggiunse la pioggia…
Un momento di ansia: ero chiusa li dentro?!
Ma il monacello solerte non mi aveva dimenticata; venne ad aprire la porticina. Ero liberata; ma il quadro interrotto non fu completato.
Solo molti anni dopo mi resi conto che l’immagine di quella luce sfolgorante nel precipizio aveva ispirato la “Visione del Crocifisso” nella composizione del quadro delle “Stimmate”, che oggi è nella Biblioteca del Centro Studi Francescani ad Assisi.
“Le stimmate di S. Francesco”
L’agitato aprirsi delle ali del Serafino mi si rivelò metamorfosi resurrezionale della composizione: il triangolo acuto del precipizio del quadro incompiuto a La Verna è qui dischiuso verso l’alto in una esplosione di luce.
Nel quadro, di grandi dimensioni, dipinto a olio con la tecnica a spatola, il Santo in estasi è realizzato secondo una scomposizione di piani plastici di tipo cubista, ma la visione celeste si disfa nei tocchi dinamici e drammatici dell’espressionismo. Personale partecipazione alla realtà dell’epoca. Esposto alla Biennale di Arte Sacra dello Antoniano a Bologna, l’anno seguente il quadro subì una correzione nell’interpretazione del volto del Santo, la cui espressione ora è più intima, in sé raccolta.
All’effigie del “Cristo” che appare, nel dischiudersi disordinato della “triplice coppia di ali del Serafino”, coscientemente ho serbato la foggia dell’intellettuale dal volto rasato nell’ovale affilato, dai corti capelli profilati intorno all’orecchio scoperto. Immagine non tradizionale del Cristo-Gesù. In quell’esperienza avevo compreso il dramma dell’incarnazione moderna maschile. Nel “Crocifisso” avevo sentito la realtà sofferta dell’uomo della mia epoca.